Alla scoperta di Pablo Neruda.
Di Salvatore Ilacqua
Cento sonetti d'amore (Cien sonetos de amor – 1959) è una delle opere più rilevanti della poetica di Pablo Neruda. L'importanza del testo è andata crescendo con il tempo tanto da diventare una sorta di manifesto della poetica “nerudiana”. Dedica esplicita e prologo dell'opera è la lettera a Matilde Urrutia, centro di gravità dell'intera centuria. I sonetti si caratterizzano per un totale disinteresse del formalismo poetico con conseguente abbandono della rima ritenuta “effettista e vuota”. Ci sono quattro momenti: Mattino, Mezzogiorno, Sera, Notte; una divisione simbolica che serve per sviluppare i temi cari a Neruda quali l'amore, la terra, il Sud.
Già nel primo sonetto l'autore propone alcuni tra i temi centrali dell'opera, nell'identificazione della donna amata con gli elementi del paesaggio. Particolare, in questa straordinaria ouverture, il richiamo alla fisicità femminile presente nell'ultima terzina: “Oh invadimi con la tua bocca bruciante/ indagami, se vuoi, con i tuoi occhi notturni/ ma lasciami nel tuo nome navigare e dormire”.
Nei versi del Mattino, le parole spaziano dalle rievocazioni della terra natia alle manifestazioni improvvise e “vigorose” dell'amore che, per Don Pablo, rassomigliano alla “furia del vino incarcerato”. È l’esaltazione del lato gioioso della vita e dell'amore: si percorre un territorio incerto, dai contenuti a volte immediati e a volte “ripidi”, come se si stesse scalando una montagna nascosta. Il paesaggio sembra quello descritto dai primi conquistadores: una natura ancora selvaggia e indomita. Le parole non sono lettere, ma echi e odori lontani, piante esotiche e rive sconosciute, dove ci si abbevera della linfa così generosamente offerta. Proprio nel momento in cui la descrizione terrestre si fa più fitta, si apre uno spiraglio di luce che svela Nuda. “Nuda” (titolo liberamente attribuito al sonetto XXVII) è molto più che un insieme di versi: è l'immagine improvvisa dell'amata, la monumentalità della visione che travolge con rara potenza il poeta e il lettore. Non è un testo osceno, bensì un'ode alla donna e alla sua “forza della delicatezza”: “Nuda sei piccola come una delle tue unghie/ curva, sottile, rosea finché nasce il giorno/ e t'addentri nel sotterraneo del mondo”. I versi dipingono un corpo, baciato forse da un timido sole o da una luna splendente. Nella penombra una mano si muove, fa un po’ di luce, apre una finestra, svelando i segreti dell'amore e della vita nel volo di un attimo. Non basta il tempo di una poesia, questa è già sparita, ma il ricordo è nostro per sempre. In un solo sonetto “Don Pablo” è riuscito a racchiudere il mistero della bellezza e a trasmetterlo agli altri, cosicché anch'essi possano assaporare il gusto e rimanere incantati nella contemplazione di tanta meraviglia.
La Mattina volge al termine con richiami ora a Matilde ora alla terra che inizia ad assumere l'appellativo di “Sud”.
Il Mezzogiorno presenta un esplicito riferimento al tema del ritorno alle origini, inteso come momento cruciale della vita e del sentimento: “perché l'amore non può volare senza fermarsi/ al muro o alle pietre del mare van le nostre vite/ al nostro territorio sono tornati i baci”. In questo gruppo di sonetti, come molti commentatori hanno sottolineato, l'elemento caratterizzante è “l'attività della donna” sulla quale “si proietta una luce di sostanze vitali” (Bellini – prefazione). Uno in particolare caratterizza questo momento: è il XLIV. Componimento “adulto”, non ha più i caratteri passionali di Nuda, ma presenta il lato più maturo dell'amore. Sembra quasi un pensiero sussurrato alla persona amata, più che una dichiarazione esplicita, una promessa di amore eterno, mai banale, ma che allo stesso tempo racchiude l'intensità degli inizi... direbbe Shakespeare: “chi ha amato mai che non abbia amato al primo sguardo?”
La Sera e la Notte sono pervase da due “giganti” in lotta tra loro per la sopravvivenza. Da un lato l'invidia, la tristezza, il senso di impotenza di fronte alla morte; dall'altro la vita, l'amore eterno per Matilde e la consapevolezza dell'immortalità di questo sentimento. Nel sonetto LVI, Neruda sottolinea come, con i suoi canti, riesca a sconfiggere l'altrui gelosia: “L'invidia soffre, muore, finisce col mio canto./ A uno a uno agonizzano i suoi tristi capitani.” L'autore propone un invito simile al “vivemus mea lesbia, atque amemus” di catulliana memoria, teso ad eliminare le dicerie e maldicenze, ma soprattutto a vincere la tristezza e consapevolezza della fine imminente. Il pensiero si affanna, riecheggiano rumori sinistri, la morte sembra cancellare ogni cosa, ma così non sarà. Nemmeno la “nera signora” può infatti, battere la forza dirompente del cuore: “solo il tuo amore per chiudere l'ombra” (sonetto XC) urla che tutto questo è “vero”, esiste, non termina con la vita. La lotta si conclude con la vittoria dell'amore, nell'immortalità del sentimento e nel tanto desiderato ritorno alla terra. È così che volge al termine il percorso del poeta e dell'uomo: dalla vita alla morte, dalla morte alla terra “e li dove respirano i garofani/ fonderemo un vestito che resista/ l'eternità di un bacio vittorioso”.
Nessun commento:
Posta un commento