Come potremmo oggigiorno definire il coraggio? Che cosa pensiamo di quella virtù che Hemingway definì “la grazia sotto pressione”?
Di Salvatore Ilacqua e Michele Macchia
Un giovane senatore nel 1956, John Fitzgerald Kennedy, pubblicò un testo che, ripercorrendo la vita e le battaglie politiche di otto differenti personalità, ha calcato i lineamenti di questo valore: “Ritratti del coraggio”(premio Pulitzer 1957). Considerato unanimemente il testamento “politico e spirituale” di Kennedy, rappresenta il principio della sua carriera: viene prima del celebre discorso d'insediamento alla Casa Bianca, prima della crisi cubana, prima della “sfida spaziale”... insomma prima di tutto ciò che è noto su JFK.
Figura emblematica di tutta l'opera è, senza dubbio, John Quincy Adams (1767-1848) senatore del Massachussets prima e, successivamente, Presidente degli Stati Uniti d'America. Uomo dotato di uno spiccato talento politico, detestava l'attaccamento al potere senza il rispetto di valori e ideali personali. Così profondamente deluso dalla rigorosa retorica di partito che imperversava nel suo paese giunse a dichiarare: “Il paese è così talmente piegato allo spirito di partito, che non seguire ciecamente l'uno o l'altro è un’offesa inespiabile. In entrambi io vedo l'impossibilità di seguire i dettami della mia coscienza”.Fu uno dei pochi senatori a “tradire” parenti, amici, colleghi, il suo stesso elettorato, infischiandosene di meri interessi regionalistici, per preservare il bene della res pubblica. Per tali ragioni, in un periodo di fortissima instabilità sociale, venne considerato un uomo poco prudente e troppo avventato.
Incauto o impavido? E nella società contemporanea di quale opinione godrebbe un simil personaggio? Ammirazione, disprezzo, paura o indifferenza?
Dante, studiato a lungo da Kennedy, scriveva: “I posti più caldi all'inferno ospitano quelli che, in periodi di gravi crisi morali, sono rimasti neutrali”. Dunque, mai rimanere ai margini, mai sottrarsi alle responsabilità e mai soccombere al “puzzo” del compromesso morale che le vicissitudini politiche e sociali ci impongono.
Nella prefazione al libro Robert Kennedy descriveva John con le parole di Andrew Jackson: “Un solo uomo di coraggio fa la differenza”. Questo è l'effetto che John aveva sugli altri, uomo politico per il mondo, intrepido e coraggioso per i suoi intimi commensali.
E noi? Crediamo possibile riuscire a fare la differenza?
Il coraggio è la forza che produce il cambiamento che avviene prima nell'animo per poi essere applicato. Le storie di vita riportate da Kennedy possono offrire uno spunto di riflessione, un modello di ispirazione, ma non potranno mai regalare il coraggio stesso: quello ognuno dovrà cercarlo dentro di sé.
Vai alla rubrica di Cultura
Nessun commento:
Posta un commento