Insegnanti, genitori e studenti ancora in tumulto contro i tagli del Governo.
di Mariateresa Panarese
Il 12 marzo è stato proclamato lo sciopero generale del mondo del lavoro, le ragioni che hanno portato a questo sciopero sono ritenute importanti per tutti i cittadini e la nostra società: lavoro, fisco, cittadinanza.
Il mondo della scuola ha aderito a questo sciopero, perché ormai sono evidenti le problematiche che la coinvolgono: la precarietà, i tagli ai fondi e la mancanza di dialogo tra i lavoratori della scuola e il governo. Quest’ultimo, infatti, nonostante le molteplici proteste e pressioni, non ha mai inteso coinvolgere gli addetti ai lavori per la realizzazione della riforma, che alla fine si è tradotta in meri “tagli” di personale ed economici; adeguamenti che vengono fatti passare “sulla testa” di chi già lavora e annulla una qualsiasi illusione d’inserimento in quei giovani che attualmente il posto non ce l’hanno. Analizzando più dettagliatamente quella che viene presentata come “riforma” - dalla scuola dell’infanzia alla scuola superiore - appare evidente quanto sia più densa di ombre che di luci, e non pochi dei suoi passaggi lasciano dubbi e perplessità in chi nella scuola crede e opera con grande senso di responsabilità. Il senso dei cambiamenti che questo progetto ministeriale porta avanti, sembra andare nella direzione opposta rispetto a quella che i docenti e tutti gli operatori si sarebbero auspicati. Vale a dire che, piuttosto che un maggiore investimento nei confronti della scuola pubblica, siamo in presenza di un tipo d’intervento che, con termini tipici delle politiche industriali, si può definire di “ristrutturazione aziendale”. La storia insegna che questo si traduce praticamente in mobilità, precarietà, licenziamenti e quindi, nel caso della scuola, in una politica di privatizzazione sempre meno strisciante e più manifesta.
La scuola senza risorse umane ed economiche non può più andare avanti: come si fa a rimanere indifferenti di fronte a quello che sta avvenendo? È una domanda che ci facciamo tutti noi: docenti, alunni e genitori - che molto spesso arrivano a pagare di tasca propria l’essenziale per mantenere a galla una scuola pubblica che rischia seriamente di affondare -.
Si manifesta nelle piazze per mostrare un profondo malessere dettato dalla volontà di poter lavorare con dignità e nel rispetto del diritto costituzionale, di garantire un istruzione di qualità ai nostri alunni/figli a prescindere dalla propria appartenenza sociale, religiosa, razziale e sessuale. Calamandrei, in un discorso tenuto a Roma l’11 febbraio 1950, richiamava l’attenzione dei presenti su alcuni temi che erano importanti allora, ma lo sono ancor di più in questo momento storico per la scuola: “Cari colleghi, noi siamo qui insegnanti di tutti gli ordini di scuole, dalle elementari alle università [...]. Siamo qui riuniti in questo convegno che si intitola alla Difesa della scuola. Perché difendiamo la scuola? Forse la scuola è in pericolo? Qual è la scuola che noi difendiamo? Qual è il pericolo che incombe sulla scuola che noi difendiamo? […]La scuola, come la vedo io, è un organo "costituzionale". Ha la sua posizione, la sua importanza al centro di quel complesso di organi che formano la Costituzione. La scuola, organo centrale della democrazia, serve a risolvere quello che secondo noi è il problema centrale della democrazia: la formazione della classe dirigente. La formazione della classe dirigente, non solo nel senso di classe politica, di quella classe cioè che siede in Parlamento e discute e parla (e magari urla) che è al vertice degli organi più propriamente politici, ma anche classe dirigente nel senso culturale e tecnico: coloro che sono a capo delle officine e delle aziende, che insegnano, che scrivono, artisti, professionisti, poeti. Questo è il problema della democrazia, la creazione di questa classe, la quale non deve essere una casta ereditaria, chiusa, una oligarchia, una chiesa, un clero, un ordine. […]A questo deve servire la democrazia, permettere ad ogni uomo degno di avere la sua parte di sole e di dignità. Ma questo può farlo soltanto la scuola, la quale è il complemento necessario del suffragio universale. La scuola, che ha proprio questo carattere in alto senso politico, perché solo essa può aiutare a scegliere, essa sola può aiutare a creare le persone degne di essere scelte, che affiorino da tutti i ceti sociali. […] Vedete, questa immagine è consacrata in un articolo della Costituzione, sia pure con una formula meno immaginosa, l'art. 34, in cui è detto: "La scuola è aperta a tutti. I capaci ed i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi". Facciamo l'ipotesi, astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuol fare la marcia su Roma e trasformare l'aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura. Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di Stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di Stato hanno il difetto di essere imparziali. Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di privilegi…”
Leggendo le parole di Calamandrei non è difficile dare una spiegazione ad una politica sociale che affonda e calpesta tutti i privilegi che solo la scuola - intesa come fucina di menti e di cultura - può forgiare. È forse la possibilità che i nostri figli vogliano ambire di far parte della classe dirigente, di una classe dirigente asettica, democratica e apartitica, che spaventa e che porta questo governo a immiserire la scuola di stato? È questa la politica del Governo per i nostri figli? La riforma può essere letta solo come un ulteriore smacco a chi di cultura vorrebbe vivere, grande è già il divario fra chi il “sapere” lo compra e chi se lo deve conquistare con i propri mezzi e possibilità. Noi non ci stiamo e come Calamandrei asseriamo fortemente che: “…Bisogna cari amici continuare a difendere la nostra scuola”.
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